Ciao a tutti! 👋🏻
Come state? Oggi voglio parlarvi di heaven, un brand italiano focalizzato sui prodotti a base d’avena. Gli ho contattati personalmente perché, prima di tutto, sono un loro fedele consumatore (il gusto cannella e miele è ✨), e poi perché dal punto di vista packaging, credo abbiano fatto delle scelte davvero interessanti rendendo il prodotto riconoscibile sullo scaffale!
È stato illuminante parlare con Brendan, co-founder di heaven, e spero che troviate interessante anche voi questa intervista.. incominciamo!
Piccola nota: non è pubblicità, ho scritto personalmente a heaven chiedendo se avessero il piacere di condividere qualche info sul loro brand.
E penso che qualcuno possa prendere spunto per i propri studi o per il proprio lavoro, o semplicemente per curiosità.
Intervista a Brendan Harris
co-founder di heaven
Puoi raccontarmi come e quando è nata l'idea di dare vita a un brand come heaven?
Heaven è nato in maniera inaspettata, quasi per caso. Dopo l’esperienza con Froosh in Scandinavia, una regione molto più aperta al consumo di latte d’avena, mi ero concesso un anno sabbatico. Mentre trascorrevo del tempo nella mia casa a Lucca, ho notato una grande mancanza sul mercato: in Italia non esisteva ancora una vera cultura legata al latte d’avena. Così ho chiamato Inga, mia socia anche in Froosh, e le ho proposto di lanciare insieme questo nuovo progetto.
Come si penetra un mercato come quello italiano, più respingente al latte d'avena rispetto ai paesi del Nord Europa?
Nei paesi del Nord Europa è stato molto più semplice introdurre il latte d’avena, grazie a una cultura del coffee shop già consolidata. Il latte è un ingrediente fondamentale, soprattutto nel latte macchiato, che per le sue proporzioni contiene più latte che caffè. Questo ha reso l’ingresso nel mercato più naturale.
In Italia, invece, il panorama è diverso. L’espresso è il protagonista indiscusso al bar, mentre il cappuccino occupa solo una nicchia. Questo rende l’ingresso del latte d’avena più complesso. Tuttavia, i consumatori italiani non sono chiusi al sapore dell’avena; anzi, sono molto aperti alle novità, come dimostrano il successo di poke e sushi. La chiave è offrire un prodotto che sia gustoso e di qualità.
Quindi, è fondamentale convincere il consumatore dal punto di vista del gusto, offrendo un prodotto che sia saporito e di alta qualità. Allo stesso tempo, è altrettanto importante individuare il veicolo giusto per introdurlo nel mercato. In altre parole, il latte d’avena da solo potrebbe non essere sufficiente, serve un prodotto o una modalità di presentazione che si adatti meglio alla cultura e alle abitudini italiane.
Per il mercato italiano avete già identificato un “veicolo” più efficace?
Sì, esiste un veicolo molto più efficace: lo yogurt. In Italia, il consumo di yogurt è molto alto, e il 90% dei prodotti sul mercato è a base di latte vaccino, rendendolo un'opportunità importante. Noi abbiamo iniziato con il formato monodose, che è stato fondamentale per posizionare il prodotto come di alta qualità, evitando l'impressione più economica che possono dare confezioni da 4 o 6. Tuttavia, le confezioni multidose hanno un consumo maggiore, quindi ha senso ampliare l’offerta in quella direzione.
Quali difficoltà avete incontrato fino ad ora? È difficile fare startup in Italia?
Entrare nel mondo della GDO in Italia è stato un processo particolarmente complesso, soprattutto a causa della frammentazione del mercato. A differenza di paesi come l'Inghilterra, dove pochi grandi player coprono gran parte della popolazione, in Italia esiste una miriade di attori, e questo complica notevolmente le dinamiche d'ingresso.
Per accedere alla GDO, bisogna affrontare procedure specifiche che richiedono investimenti significativi. Sebbene avviare una startup in Italia sia reso più accessibile grazie ad agevolazioni e incentivi, il passaggio alla grande distribuzione è decisamente più impegnativo. Per questo motivo, ci stiamo concentrando su questo fronte, adattando strategie e prodotti.
La nostra sfida è stata resa ancora più complessa dal tempismo: abbiamo lanciato il prodotto appena due mesi prima della pandemia di COVID-19. Con i bar chiusi e le vendite in calo, siamo stati costretti a rivedere il nostro approccio. Se inizialmente puntavamo sui bar come canale d’ingresso, abbiamo poi spostato l’attenzione sulla GDO, ripensando anche il packaging per renderlo più adatto a questa nuova strategia.
Nonostante queste difficoltà, avviare una startup in Italia è spesso più semplice rispetto ad altri paesi, grazie a incentivi, finanziamenti e una burocrazia che, almeno nelle fasi iniziali, è più snella di quanto si pensi. Ad esempio, strumenti come la fatturazione elettronica sono un grande vantaggio. Credo che l’Italia sia tra i paesi più aperti alle startup, ma rimangono sfide importanti, soprattutto per chi vuole inserirsi in settori complessi come quello della grande distribuzione.
Come avete finanziato il progetto?
Per lanciare un brand nel mondo del food and beverage servono tra i 10 e i 15 milioni di capitale. Fin dall’inizio, ci siamo dedicati intensamente al fundraising, lavorando esclusivamente con investitori privati. Non ci sono istituzioni o fondi di venture capital dietro di noi: solo privati, oltre a un investimento personale significativo sia da parte mia che di Inga.
Abbiamo appena terminato una campagna di crowdfunding con grande successo, questa iniziativa offriva a chiunque in Italia l'opportunità di investire in heaven e diventare socio. Il nostro obiettivo era aprire questa possibilità a tutti, non solo ai grandi investitori. Un modo concreto per coinvolgere chi crede in noi e nel nostro prodotto!
Operate internamente o vi appoggiate a professionisti esterni per supporto e consulenza?
Operiamo principalmente con un team snello e agile interno, senza doverci appoggiare a professionisti esterni. La nostra forza risiede nella fiducia reciproca. Io e Inga lavoriamo a stretto contatto: Inga si occupa principalmente del prodotto, collaborando direttamente con il laboratorio per garantire che ogni prodotto sia eccezionale. Da parte mia, porto la mia esperienza pratica, mentre lei arricchisce ogni decisione con una visione fresca e innovativa.
La considero un vero e proprio genio in questo campo, capace di generare idee brillanti che arricchiscono il nostro lavoro. Siamo un team che si basa su un legame solido di fiducia e su competenze complementari. Inga, in particolare, si dedica con grande impegno al laboratorio per garantire che ogni prodotto sia veramente buono e privo di zuccheri aggiunti, un aspetto fondamentale per noi. È stata lei a stabilire che il prodotto sarebbe entrato nel mercato solo quando fosse stato davvero perfetto.
Onestamente, dopo la riapertura del lockdown, ci siamo concentrati soprattutto sulla distribuzione. Non ritenevamo sensato investire grandi somme in marketing finché il prodotto non fosse ampiamente disponibile sugli scaffali. Da quest'anno inizieremo a investire nel marketing. Abbiamo finalmente un piano strutturato per il 2025, con l'obiettivo principale di aumentare la brand awareness. Attualmente, la nostra brand awareness è intorno al 6%, il che significa che c'è ancora molto lavoro da fare, ma siamo pronti a raccogliere la sfida e a far conoscere heaven a un pubblico sempre più ampio.
Quali sono quei prodotti che non possono proprio mancare nella tuo carrello della spesa? A parte heaven ovviamente!
Ci sono alcuni prodotti che per me sono indispensabili. Primo fra tutti, il tè, in particolare l’English Breakfast, che bevo in grandi quantità e che ormai ha conquistato anche mia moglie Barbara. Poi non può mancare il gin tonic: è ormai una tradizione ogni venerdì sera, quindi in casa non mancano mai Gordon’s e Schweppes.
Con il passare degli anni, presto anche più attenzione a uno stile di vita sano, e il mio carrello della spesa riflette questa scelta: ingredienti freschi per insalate e piatti salutari sono una costante. Insomma, il mio cestino è sempre pieno di prodotti che aiutano a mantenere uno stile di vita equilibrato e healthy.
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